*di Marta Miccadei
Sebbene siano passati oltre quarant’anni da quando la Cina ha ufficialmente aperto le sue porte al mondo occidentale, questa immensa nazione continua a essere una terra di mistero; uno degli arcani più impenetrabili – forse – è quello legato alle tematiche dell’omosessualità (同性恋 tongxinglian), del lesbismo (女同性恋 nü tongxinglian) e della transessualità (异装癖 yi zhuang pi).
La tradizione delle relazioni omoerotiche in Cina è antica quanto la storia della cultura del Paese. Da simbolo di una condizione economico-sociale privilegiata durante il periodo imperiale, si considerano una pratica immorale, deviante e riprovevole nell’età repubblicana (中华民国 Zhonghua Minguo, 1911-1949), in epoca maoista (毛泽东时代Mao Zedong shidai, 1949-1976) e durante la Rivoluzione Culturale (文化大革命 Wenhua Dageming, 1966-1976). In queste tre epoche, infatti, gli omosessuali, oltre a essere soggetti a sanzioni amministrative e disciplinari – detenzione, rieducazione attraverso l’istruzione e il lavoro, trattenuta dei salari – incappano in punizioni inumane, quali l’essere picchiati a morte o il venir spinti al suicidio.
Nonostante la politica di “apertura e riforme” (改革开放 Gaige kaifang, 1978), la cultura sessuale rimane profondamente conservatrice e negli ultimi due decenni del Novecento si radicalizza ancor di più: si tratta di anni in cui sugli omosessuali grava il peso dello stigma di malati mentali. Il primo passo verso una visione meno tradizionalista viene compiuto a ridosso del nuovo secolo: nel 1997 si assiste alla decriminalizzazione dell’omosessualità; nel 2001 alla sua rimozione dalla lista delle malattie mentali e alla conseguente depatologizzazione; nel 2003 al riconoscimento ufficiale di questo orientamento sessuale a causa del dilagare dell’AIDS. È in questo contesto che le comunità omosessuali iniziano a sviluppare una propria identità, seppur con grande reticenza a causa dell’obbligo imposto dalle famiglie di stampo tradizionalista di far sottoporre i figli omosessuali a trattamenti terapeutici mirati alla “correzione della propria condizione”, della mancanza di una legge che prevenga e condanni l’omofobia e di una rigida censura che si abbatte sulle attività legate agli individui attratti da persone dello stesso sesso.
Quanto al lesbismo, fenomeno maggiormente accettato all’interno della cultura sinica ma ugualmente condannato, esso viene concepito come una forma di reazione agli abusi o all’abbandono da parte degli uomini.
Nonostante nel corso degli anni sia cambiato l’atteggiamento sociale nei confronti di uomini e donne attratti da persone del loro stesso sesso, i pregiudizi e le discriminazioni nei loro confronti sono ancora comuni nella società contemporanea. Il motivo? Essere un uomo o una donna omosessuale significa scontrarsi con la dottrina confuciana che da sempre vede nelle unioni eterosessuali il prosieguo del flusso vitale della famiglia. Secondo il Confucianesimo (儒家 Rujia), l’identità della donna deriva dalla relazione con un uomo, dall’adempimento agli obblighi familiari e dall’avere dei figli e, poiché il concetto cardine di armonia tra yin e yang considera ulteriormente questo ruolo di genere come fondamentale per un giusto ordine sociale, è innegabile che una donna con un orientamento omosessuale non solo è fonte di disillusione per i genitori, ma è anche il motivo della disgrazia della propria famiglia.
Quello della transessualità, invece, è un fenomeno relativamente recente, tanto che il termine non viene coniato prima del 1949 e inizia a essere utilizzato solo a partire dagli anni Sessanta. Si pensi inoltre che, mentre in Europa la prima riassegnazione chirurgica del sesso risale al 1922, in Cina il caso più famoso è quello di Jin Xing (金星, 1967- ), la prima donna transessuale a ricevere l’approvazione del governo per sottoporsi nel 1995 – ben settanta anni dopo rispetto all’Occidente – agli interventi che hanno determinato il suo mutamento di sesso e a essere ufficialmente riconosciuta come tale dal governo cinese. Un altro anno significativo per il mondo della transessualità è il 2013: è solo a partire dal nuovo millennio, infatti, che si inizia a parlare di disforia di genere (性别紊乱症 xingbie wenluan zheng), condizione caratterizzata da una intensa e persistente sofferenza causata dal sentire la propria identità di genere diversa dal proprio sesso innato.
Nonostante la transessualità non venga rimossa dalla lista delle malattie mentali – come è successo con l’omosessualità e la bisessualità – in Cina la riassegnazione chirurgica del sesso (变性手术 bianxing shoushi) – dall’inglese sex reassignment surgery (SRS) – è ufficialmente riconosciuta, così come ai transessuali è data la possibilità di sposarsi e di adottare un figlio, previo ottenimento di un documento di identità in cui si dichiari il nuovo genere. Una grande contraddizione che nel 2009 il governo ridimensiona emanando una serie criteri di carattere economico e burocratico da rispettare affinché una persona possa sottoporsi agli interventi chirurgici. La riassegnazione chirurgica del sesso non è coperta da assicurazione sanitaria e il paziente è dunque chiamato a farsi carico di tutte le ingenti spese, poiché essa non consiste in un’unica operazione, ma è costituita da una serie complessa di interventi e terapie ormonali. La burocrazia è il secondo grande ostacolo che rende impervia la strada per conseguire l’obiettivo. Il paziente che richiede una SRS deve essere in possesso di un permesso rilasciato da un ufficio di pubblica sicurezza che dimostri che non abbia precedenti penali; un certificato vidimato da uno psichiatra che attesti la sua integrità mentale; una dichiarazione autenticata dal paziente stesso in cui richiede di voler procedere con l’intervento; un certificato che attesti che i parenti stretti siano stati informati della sua volontà e la approvino. Il paziente, inoltre, deve essere celibe o nubile; dimostrare che il desiderio di voler cambiare sesso sia stato manifestato a partire da almeno cinque anni prima; essersi sottoposto a un trattamento di terapia psichiatrica della durata di almeno un anno senza che le sue intenzioni siano mai vacillate. Si tratta, quindi, di criteri volti a ostacolare e scoraggiare il paziente a proseguire nel suo intento; l’essere incensurato e l’aver ottenuto l’approvazione della famiglia costituiscono due esempi lampanti.
L’assenza di precedenti penali è il primo impedimento che ostacola il paziente intenzionato a ricorrere agli interventi chirurgici e ai trattamenti ormonali per indurre la comparsa di caratteristiche fisiche proprie del sesso cui esso ritiene di appartenere. La ragione principale è legata al fatto che la maggior parte dei transessuali, in Cina, lavora nell’ambito della prostituzione, attività considerata un illecito e, per questo, punita con la detenzione che mina l’integrità della fedina penale e impedisce al paziente di essere preso in considerazione per l’operazione.
Inoltre il concetto di famiglia tradizionale, ancora in auge all’interno della società cinese, si muove in senso diametralmente opposto rispetto ai concetti di omosessualità e transessualità. Per il transessuale che decide di esternare il genere al quale sostiene di appartenere è impossibile – o quasi – celare le proprie inclinazioni a parenti e amici. Spesso il doppio tabù – l’essere transgender e il lavorare nell’ambito della prostituzione – porta la maggior parte dei transessuali a scegliere di non rivelare la propria identità o il proprio lavoro alle famiglie e di abbandonare la propria città natale, lottando per la sopravvivenza negli ambienti relativamente aperti delle grandi città, dove non devono preoccuparsi delle obiezioni delle loro famiglie e possono vivere come meglio credono. L’incapacità dei familiari di accettare un figlio transessuale può avere conseguenze drammatiche: diversi, infatti, sono i casi in cui i pazienti, non potendosi sottoporre agli interventi per la riassegnazione chirurgica del sesso perché la famiglia non acconsente una scelta così estrema, si auto mutilano, amputandosi il loro organo sessuale e raggiungendo, così, l’obiettivo tanto agognato.
Queste tematiche vengono ampliamente sviluppate dalla drammaturga Liao Yimei (廖一梅, 1970- ) nell’opera teatrale – da lei stessa definita “una danza sui tabù” – Rouruan (《柔软》, la prima a parlare apertamente, in termini medico scientifici, del percorso fisico e psichico di riassegnazione sessuale dei transessuali. Due battute lapidarie fanno eco a tutto il discorso affrontato sui vari impedimenti che ostacolano un transessuale a sottoporsi alle operazioni per cambiare sesso:
“年轻人:我不用考虑,我就是女人。我从五岁起就拒绝上男厕所! […] 这儿,这儿,都在这儿!(翻病历)无犯罪前科,父母同意,经济情况良好,神志清醒,无精神病史。还不够吗?
女医生:我是你的医生,我必要确定你做好了充分的准备成为一个女人!”
“Giovane: Non ho bisogno di rifletterci, io sono una donna. Mi rifiuto di andare al bagno degli uomini da quando ho cinque anni! […] È qui, è qui, è tutto qui! (sventolando il referto medico) Incensurato, i miei genitori acconsentono, buona situazione economica, pienamente cosciente e non ho nessun precedente clinico di disturbi mentali. E ancora non basta?
Dottoressa: Io sono il suo medico, io devo assicurarmi che lei sia completamente pronto a diventare una donna!”
È evidente, quindi, che essere se stessi in Cina non è facile se la definizione che ogni individuo attribuisce all’espressione “essere se stessi” non coincide con quella data dalla società e dall’ideologia dominante. Sorge spontaneo chiedersi come mai un Paese così avanzato sotto tanti punti di vista faccia fatica ad adeguarsi ai tempi che cambiano e ad accettare che nella vita prima di essere etichette – uomini, donne, gay, lesbiche, trans – siamo esseri umani con le nostre infinite diversità. Parlare di orientamento sessuale e di identità di genere significa dare voce e visibilità a chi si è sempre sentito fuori luogo, sbagliato e rifiutato e Liao Yimei riesce pienamente in questo intento, con tono ironico e diretto, criticando le regole e le idiosincrasie della società cinese. E se con questo articolo ho suscitato in te, caro lettore, la curiosità di approfondire questi argomenti perdendoti tra le pagine dell’opera teatrale, ho raggiunto il mio obiettivo principale.
Quindi non posso che augurarti buona lettura!
*Marta Miccadei inizia e termina gli studi universitari presso l’Università degli Studi di Macerata dove, a ottobre 2021, consegue a pieni voti la laurea magistrale in Lingue, culture e traduzione letteraria. Ottiene una borsa di studio semestrale presso l’Istituto Confucio di Macerata e, durante la triennale, intraprende un percorso di formazione nell’Università Normale di Tianjin (天津师范大学). La sua grande passione per le lingue, però, non si limita all’idioma parlato nel Paese di mezzo. Fin dall’età scolare nutre un interesse particolare per il mondo ispanico, tanto da trasformare la sua passione in professione. Attualmente, infatti, lavora presso il Liceo Celio-Roccati di Rovigo come docente di lingua e cultura spagnola.