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Una settimana fa sono atterrata a Jeddah, città costiera dell’Arabia Saudita. Era da tempo che non visitavo un paese ed una cultura da zero, senza sporcarmi troppo la testa di pregiudizi. Sono arrivata in Arabia senza conoscere l’arabo o la cultura islamica.
A differenza della mia prima esperienza in Cina, sono atterrata a Jeddah per guardarla con una mente e degli occhi ancora vergini. In valigia con me ho il classico di Charles Montagu Doughty, Travels in Arabia Deserta, libro che descrive l’epico viaggio dello scrittore inglese verso la Mecca. Doughty ha viaggiato in Arabia alla fine del diciannovesimo secolo, io invece sento di aver viaggiato indietro nel tempo arrivando a Jeddah. Il vento che alza la sabbia del deserto che circonda la città rende i paesaggi simili ad una vecchia fotografia ingiallita. Jeddah mi sembra ancora ferma a 50 anni fa, nonostante la forte spinta della monarchia verso una modernizzazione del paese entro il 2030. L’Arabia che sto visitando adesso non è la stessa di quattro anni fa, sotto molti aspetti si è veramente modernizzata.
Dovete sapere che in Arabia tutto gira attorno all’Islam, e l’Islam regola la vita quotidiana dall’alba al tramonto scandendo le ore con le regolari cinque preghiere giornaliere verso la Mecca. La monarchia dell’Arabia Saudita segue la legge di Dio, cioè la Shari’ah. La vita delle persone gira attorno alla religione, e Jeddah, a soli 97 km dalla Mecca, fa anche parte del lungo tragitto dello Haji, il pellegrinaggio religioso che ogni mussulmano deve fare almeno una volta nella vita. Nel romanzo di Doughty i pellegrini si muovono con delle carovane attraverso il deserto, adesso invece si spostano comodamente in aereo, facendo scalo a Jeddah prima di raggiungere la Mecca. Durante il viaggio i pellegrini devono vestirsi con una stoffa bianca, nuova e senza cuciture che si chiama Iḥrām e rappresenta la purezza spirituale del pellegrino nel suo viaggio verso la Mecca. Come il protagonista di Travels in Arabia Deserta, in quanto Naṣrānī, cioè cristiana, mi è assolutamente vietato visitare la Mecca, città e luogo di culto in cui sono solamente ammessi persone di religione mussulmana. I pellegrini Haji mi hanno accompagnato sul volo da Amman a Jeddah, ed io mi sono chiesta come facessero a non aver freddo con solo un asciugamano addosso e con l’aria condizionata dell’areoporto al massimo.
Arrivata a Jeddah ho incontrato pochissimi occidentali. Alloggio in un compound residenziale creato appositamente per i lavoratori stranieri: una bolla senza regole e senza tempo nel cuore di Jeddah, al cui interno le donne possono stare in costume da bagno a bordo piscina. Una volta fuori, in quanto donna, devo rispettare anche io un dress code. Ad esser sincera, mi aspettavo di incontrare regole più rigide e persone più severe, ma, come ho già detto, l’Arabia che sto vivendo oggi è molto diversa da quella di pochi anni fa. Non sono obbligata ad indossare un velo sopra i capelli, ma un semplice soprabito lungo chiamato Abaya che serve a coprire braccia e gambe. L’Arabia si sta davvero modernizzando. Fino a pochi anni fa le donne non potevano guidare, adesso alla guida vedo qualche ragazza saudita, senza velo e con vestiti occidentali che si intravedono sotto un Abaya sempre più colorata e alla moda.
La maggior parte delle donne comunque veste ancora un nerissimo Niqab, il velo islamico che copre testa e volto lasciando una fessura aperta per gli occhi. Con la pandemia, molte donne hanno sostituito il velo del tradizionale Niqab che copre la bocca e naso con una mascherina chirurgica. Le basse e nere figure femminili sono accompagnate dalle slanciate figure degli uomini, che solitamente vestono una lunga tunica bianca ed con una Kefiah come copricapo. Le persone prestano ancora molta attenzione all’abbigliamento tradizionale, ma i tempi sono cambiati. Fino al 2016 i Mutawa, la polizia religiosa, camminava nei centri commerciali e per le strade per assicurarsi che le persone, in particolar modo le donne e gli stranieri, si comportassero in modo consono. Ad oggi i Mutawa sono scomparsi dalle strade, e qualche giorno fa ho visto una ragazza camminare mano nella mano con il fidanzato, una cosa che 4 anni fa sarebbe stata inconcepibile.

L’Arabia sta mettendo da parte molti dei precetti dettati dall’Islam per mostrare un volto più moderno. Con il principe erede Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd, meglio conosciuto come MBS, le donne adesso possono guidare e mangiare al ristorante insieme ai mariti ed ai fidanzati, e nella maggior parte dei locali e dei negozi c’è la musica. Le leggi della Shariʿah sembrano edulcorate da questa ricerca di modernizzazione. L’Arabia ha i suoi contrasti, e nei centri commerciali extra lusso il richiamo alla preghiera del Muezzin adesso si mescola alla voce di qualche cantante internazionale, le donne vestite di nero e coperte nel loro Niqab camminano davanti cartelloni pubblicitari che mostrano ragazze con jeans attillati. Quello che sto vedendo è una lenta evoluzione del paese, ed i manifesti di propaganda con la foto del principe e del re padre si trovano sparsi ovunque, insieme ai cartelloni di modelle occidentali dei centri commerciali, simbolo di modernizzazione.

THE FIRST WEEK IN SAUDI ARABIA
A week ago, I landed in Jeddah, a coastal city in Saudi Arabia. It had been a long time since I visited a country and a culture from scratch without much prejudice. I arrived in Arabia without knowing Arabic and Islamic culture. Unlike my first experience in China, I landed in Jeddah to look at it with a still virgin mind and eyes. I have Charles Montagu Doughty’s classic, Travels in Arabia Deserta, which describes the English writer’s epic journey to Mecca in my suitcase. Doughty travelled to Arabia in the late nineteenth century, but I have travelled back in time to Jeddah.
The wind that blows up the desert sand surrounding the city makes the landscapes look like an old yellowed photograph. Jeddah seems to me to stand still 50 years ago, despite the strong push of the monarchy towards modernization of the country by 2030. The Arabia I am visiting now is not the same as it was four years ago. In many ways, it has genuinely modernized. In Arabia, everything revolves around Islam, and Islam regulates daily life from dawn to dusk by marking the hours with the regular five daily prayers to Mecca.
The monarchy of Saudi Arabia follows God’s law, which is the Shari’a. People’s lives revolve around religion, and Jeddah, just 60 miles from Mecca, is also part of the long Haji route, the pilgrimage to Mecca. In Doughty’s novel, pilgrims moved with caravans across the desert, but now they travel comfortably by plane, making a stopover in Jeddah before reaching Mecca.
During the journey that every Muslim must make at least once in their life, pilgrims must dress in a new, seamless white fabric, which is called Iḥrām and represents the spiritual purity of the pilgrim on his journey to Mecca. As the protagonist of Travels in Arabia Deserta, as Naṣrānī, that is Christian, I am forbidden to visit Mecca, a city and place of worship where only people of the Muslim religion are allowed. Haji pilgrims accompanied me on the flight from Amman to Jeddah, and I wondered how they could not be cold with only a towel on and with the air conditioning on maximum. When I arrived in Jeddah, I met very few Westerners. Accommodation in a residential compound explicitly created for foreign workers: a no-holds-barred and timeless bubble in the heart of Jeddah, where women can stay in swimwear by the pool. Once out, as a woman, I also have to respect a dress code. I expected to meet stricter rules and stricter people, but, as I said, the Arabia I am living in today is very different from that of a few years ago.
I am not obliged to wear Hijab over my hair, but a simple long overcoat called Abaya, which covers the arms and legs. Arabia is modernizing. Until a few years ago, women could not drive. I see some Saudi girls without a veil and Western clothes glimpsed under an increasingly colourful and fashionable Abaya. However, most women still wear a black Niqab, the Islamic veil covering the head and face leaving an open slit for the eyes. Many women have replaced the traditional Niqab veil that covers the mouth and nose with a surgical mask with the pandemic. The low and black female figures are accompanied by the slender figures of the men, who usually wear a long white tunic and with a Keffiyeh as a headdress. People still pay close attention to traditional clothing, but times have changed. Until 2016, the Mutawa, the religious police, walked malls and streets to make sure people, especially women, behaved appropriately. To date, from Mutawa, they have disappeared from the streets, and a few days ago, I saw a girl walking hand in hand with her boyfriend, something that four years ago would have been inconceivable. Arabia is putting aside many of the precepts dictated by Islam to show a more modern face.
With heir prince Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd, better known as MBS, women can now drive and eat at the restaurant with their husbands and boyfriends, and in most of the clubs and shops, there is music and the laws of the Shariʿah they seem sweetened by this quest for modernization. Arabia has its contrasts, and in the extra-luxury shopping malls, the call to prayer of the Muezzin now mingles with the voice of some international singer, women dressed in black and covered in their Niqabs walk in front of billboards showing girls in tight jeans . I see a slow evolution of the country. The propaganda posters showing pictures of the prince and the father king are scattered everywhere, together with the billboards of western models of the shopping centres, a symbol of modernization.
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