Cina ed Africa: è possibile parlare di razzismo?

Le relazioni tra Africa e Cina sono state recentemente molto discusse, in particolar modo lo scorso Aprile quando furono resi pubblici video che mostravano degli episodi di maltrattamento verso la comunità  Africana della città di Guangzhou. È possibile parlare di razzismo? Chi ha vissuto in Cina è a conoscenza dei pregiudizi nei confronti degli africani, a partire da alcune offerte di lavoro che hanno stampato in grassetto “No black people preferred”. Tutto questo è poco discusso e considerato. Al fine di salvare i rapporti diplomatici ed economici tra Cina ed Africa, tutti questi episodi finiscono per essere risolti ai “piani alti”, ma non effettivamente all’interno delle comunità africane in Cina. 

 Alessia Parisi si è appena laureata presso l’Università degli studi di Bergamo con una tesi che esplora il concetto di razzismo in Cina, diverso da quello che vediamo in occidente. Purtroppo,  la questione in Cina è ancora oggi poco studiata per poter essere definita chiaramente come razzismo. Alessia, attraverso le sue esperienze ed interviste a ragazz* di origine africana che vivono in Cina è riuscita a fare un quadro piuttosto completo della situazione odierna. Sperando di poter incrementare gli studi e le analisi di tutto questo, vi lascio all’intervista con Alessia. 

PER QUEL CHE NE SA… ALESSIA PARISI

Come è nato il tuo interesse per la Cina?

Un po’ come ti avranno risposto in tanti, è nato per caso. Una volta iniziata l’Università degli Studi dell’Insubria ho intrapreso il corso di laurea in scienze della mediazione linguistica. Nella scelta delle due lingue ho fatto un ragionamento abbastanza semplice: una europea e una extra-europea, perciò mi sono buttata sul cinese. 

Studiando questa lingua mi sono appassionata alla Cina, devo dire anche grazie ad un professore della mia università molto bravo che ha fatto maturare in me la curiosità e l’interesse per questo paese. Fin da subito ho imparato ad apprezzarne la cultura, ma più vado avanti e più mi rendo conto di quanto noi (Occidentali) guardiamo all’Oriente in modo sbagliato.

Dopo la triennale ho studiato un anno in Cina, nella Shandong University, a Jinan, l’esperienza più bella della mia vita. Poi, ho deciso di continuare gli studi in lingue a Bergamo, approfittando anche dello scambio con la Nanjing Normal University, dove ho studiato per cinque mesi. Mentre studiavo a Nanchino, sono ritornata a Jinan per andare a trovare un’amica, Lucrezia, ed è stato proprio in quella occasione che abbiamo parlato del tema del razzismo. 

So che ti sei da poco laureata, complimenti! Vuoi parlarci di come hai scelto questo argomento per la tua tesi?

Grazie! Come ho già detto, ero tornata a Jinan, ricordo che io e Lucrezia eravamo andate a pranzare in uno dei nostri posti preferiti in centro e abbiamo accennato al razzismo nei confronti degli studenti africani. In particolare, si parlava delle nuove regole imposte agli studenti internazionali che vivevano nel campus. 

In Cina, come ben sai, esiste una divisione tra dormitori per studenti cinesi e dormitori per studenti internazionali, questi ultimi a volte si trovano in un campus distaccati, lontani dal centro. Solitamente i dormitori per gli studenti stranieri non hanno il coprifuoco o altre regole rigide, come invece avviene per i dormitori cinesi. In poche parole, gli studenti stranieri hanno maggiore libertà. Tuttavia, da pochi anni la Shandong University non solo ha imposto il coprifuoco agli studenti internazionali, ma ha anche installato degli scan facciali in tutte le entrate del campus, per aumentare i controlli ed evitare l’ingresso a persone che non siano studenti e personale universitario. 

Questo cambiamento sembra essere stato causato da uno scandalo mediatico di cui la SDU è stata vittima. L’università organizza da diversi anni un progetto di integrazione, conosciuto come Buddy Program, che consiste nell’affidare uno studente cinese ad uno internazionale per aiutarlo con la lingua e le differenze culturali. Io stessa ho partecipato al programma nel 2017. Nell’anno accademico 2018/2019, le iscrizioni per questo Buddy Program hanno registrato un aumento della richiesta da parte degli studenti internazionali e poche iscrizioni, per lo più femminili, dalla parte cinese. 

In particolare, ha creare lo scandalo è stata una tra le voci per motivare la scelta di iscriversi al al programma: fare amicizia con persone del sesso opposto. L’università è stata immediatamente accusata online di favorire le unioni miste tra ragazze cinesi e ragazzi africani. Considerata la grande polemica nata, l’università ha dichiarato di riesaminare l’organizzazione del progetto al fine di migliorarlo e ha imposto le limitazioni di cui abbiamo parlato prima. 

Il particolare, gli utenti online che hanno accusato la SDU hanno anche espresso dei pensieri discriminatori e razzisti nei confronti degli studenti africani, esprimendo opinioni legate a stereotipi diffusi nel paese. Per esempio, si pensa che gli africani siano portatori di AIDS e che abbiano un forte desiderio sessuale. Per questo motivo ho iniziato a interessarmi a questa dinamica, ancora poco discussa ma estremamente comune in Cina. Chi è stato in Cina per un certo periodo di tempo sa di che cosa parlo quando in alcune offerte di lavoro si trova scritto “white skin preferred”. 

All’interno della tua tesi menzioni anche alcuni fatti accaduti alla comunità Africana di Guangzhou dopo il primo lockdown in Cina. Che cosa è successo? 

Nell’aprile 2020, quando la Cina aveva permesso gli ingressi nel paese, si temeva una seconda ondata di Covid-19 portato dall’estero. A Guangzhou nello specifico, città con maggior presenza africana in Cina, si è diffuso il pensiero che fossero gli africani ad aver portato il virus in Cina. La paura e l’ansia prodotta dalla pandemia si sono scagliate contro gli africani, ormai diventati il capro espiatorio della situazione. Si sono registrati diversi episodi discriminatori verso queste persone, tra cui essere cacciati dall’appartamento in affitto senza preavviso, essere costretti a fare la quarantena preventiva e a sottoporsi al test molecolare, oppure essere rifiutati da hotel e negozi. È diventato famoso il caso di un ristorante McDonald’s che ha affisso un cartello con scritto “Siamo stati informati che d’ora in poi i neri non potranno più entrare nel ristorante”. Inoltre, sono diventati virali video che mostravano africani che dormivano per le strade perché non avevano un posto in cui andare. Il tutto è documentato dalle interviste dei giornali rivolte a persone che hanno vissuto in prima persona la situazione. 

In realtà non è la prima volta che le comunità africane di Guangzhou si trovano a subire delle discriminazioni per via del colore della pelle o delle loro origini. Episodi simili sono all’ordine del giorno per gli africani in Cina, la pandemia ha accentuato il problema. La situazione è grave, ma ancora non è abbastanza studiata. Sono poche, infatti, le ricerche che sono state dedicate all’analisi delle comunità africane in Cina. Ancor meno sono gli studi che esaminano le condizioni di migrazione e di discriminazione in cui queste persone si trovano. Nonostante ciò, invece, è presente una sempre maggiore letteratura sulle relazioni economiche tra Cina e Africa. 

vignetta tratta da 洋 垃 圾 分 类 图 鉴(letteralmente
“Libro illustrativo per la classificazione dei rifiuti stranieri”)
https://twgreatdaily.com/zh-cn/ZJRgtHEBfGB4SiUwC-8x.html

Quanto hanno influito questi episodi sulla diplomazia tra Cina ed Africa?

Sfortunatamente, molto poco. Non appena si sono diffuse le testimonianze delle discriminazioni subite, le polemiche sono iniziate anche a livello diplomatico. I governatori africani hanno mostrato il loro disappunto per la situazione anche tramite i social, cosa insolita. Inoltre, gli ambasciatori africani hanno mandato una lettera al Ministero degli Affari Esteri cinese per richiedere di porre fine a questi episodi. Tuttavia, spesso la situazione finisce per essere discussa a livello diplomatico in privato, senza risolvere i problemi a livello pratico. Infatti, dopo una serie di dichiarazioni pubbliche della RPC e l’invio di delegati cinesi nei paesi africani per discutere della questione, il disappunto da parte dei vertici africani sembra essersi placato. Oggi il governo cinese porta avanti la sua propaganda e le relazioni diplomatiche ed economiche con l’Africa continuano a crescere, ma di fatto nulla viene risolto all’interno del paese nè da un punto di vista dei problemi legati alla migrazione, nè per quanto riguarda il razzismo che continua a persistere. 

Le relazioni tra Cina ed Africa sono di lunga data e nella tua tesi analizzi anche questo aspetto. È sbagliato paragonare le relazioni Cina-Africa con il colonialismo Europeo?

Un’ampia letteratura basa lo studio sulle relazioni economiche tra Cina e Africa su questo pensiero, definendo la RPC come una potenza neocoloniale. Un’altra parte, invece, osserva meglio il contesto. Io ritengo che non si possa parlare di colonialismo perchè la Cina non sta conquistando l’Africa, non ha interesse a occupare dei territori africani per suoi interessi. L’obiettivo cinese è sempre stato quello di creare delle relazioni basate sull’amicizia e sul mutuo beneficio. Infatti, gli aiuti cinesi in Africa non solo sono più consistenti di quelli occidentali, ma hanno meno limiti e restrizioni, soprattutto non interferiscono con l’organizzazione dei governi locali. Sappiamo bene, invece, i piani di sviluppo organizzati dall’occidente in Africa hanno sempre posto delle questioni politiche come condizioni per fornire gli aiuti, imponendo perciò delle scelte che magari non sono in linea con la cultura e l’organizzazione di quel paese. È ovvio, però, che non si da qualcosa in cambio di niente. La RPC ha degli ovvi interessi in Africa a livello di materie prime, mercati e nuove zone di investimento. 

Per parlare della situazione degli Africani in Cina, nella tua tesi analizzi i concetti di “razza” e “razzismo” Come vengono definiti in Cina?

È una questione molto complicata, cercherò di riassumerla il più possibile. Prima di tutto, bisogna tenere a mente che il concetto di razzismo nasce da quello di razza, il quale, non avendo un valore biologico, non è altro che un costrutto sociale. Questo vuol dire che la razza, e quindi, il razzismo, sono dei concetti che acquisiscono le caratteristiche del specifico contesto in cui nascono e si sviluppano. Spesso, invece, si fa l’errore di considerare il razzismo uguale ovunque e tipicamente si prende l’esperienza storica occidentale come punto di paragone. Infatti, alcune teorie dell’accademia sostengono che il razzismo in Cina sia sorto per via dell’influenza occidentale con l’arrivo dei missionari. In realtà, è vero che alcuni testi occidentali sono stati tradotti in cinese, tuttavia gli intellettuali hanno sempre reinterpretato le informazioni e gli studi sulla base del loro pensiero, in linea con l’universo simbolico cinese. 

La distinzione tra “noi” e “loro” è un’idea che ha origini antiche in Cina, ed è rimasta fino ad oggi subendo un’evoluzione molto lunga. Se inizialmente la divisione era tra cinesi e barbari, in seguito si iniziò a distinguere le popolazioni sulla base delle caratteristiche diverse, tra cui quelle fisiche. Questo processo di tipizzazione ha portato poi a una classificazione delle razze, secondo cui quella gialla (Cinesi) e quella bianca (Occidentali) erano le uniche degne, le razze superiori che governavano sulle altre. In seguito, il concetto di razza ha assunto definizioni diverse in base al periodo storico, di cui alcuni aspetti sono visibili ancora oggi. 

Il primo è la diversa percezione del colore della pelle: la pelle chiara è associata a status sociale elevato e a paesi considerati sviluppati, mentre il colore della pelle scura è legato a uno status sociale basso e ai paesi africani poco sviluppati. Poi è presente una gerarchizzazione in base alla nazionalità, nel senso che gli stranieri provenienti da paesi sviluppati sono tendenzialmente più “rispettati” di persone che arrivano da paesi in via di sviluppo. Questo vuol dire che gli africani neri portano il peso di più stereotipi rispetto, per esempio, agli afroamericani. Questi fattori, insieme all’alta stereotipizzazione degli africani nei media, portano a una razzializzazione degli africani neri che finiscono per essere giudicati sulla base della loro provenienza e del loro colore della pelle. 

Nella tua tesi hai anche inserito alcune interviste che hai fatto a studenti Africani e di origine Africana in Cina. Che cosa hai riscontrato?

Dalle interviste sono emersi tanti aspetti diversi. Il punto era proprio quello di riflettere sul razzismo sulla base delle esperienze di questi studenti, africani e occidentali di origini africane, dalla pelle scura e chiara, analizzando come questi fattori possano aver influito sulla loro esperienza. Di fatto, ogni esperienza è a sè, soprattutto se si considera che la sensibilità di ogni studente influisce molto sulle risposte. Comunque la maggior parte degli studenti racconta episodi discriminatori visti o subiti e ciò riguarda soprattutto gli studenti neri. Si tratta, da una parte, di commenti sul colore della pelle o sulla “discordanza” tra colore della pelle e nazionalità, questo perchè, come abbiamo detto, nella visione cinese il colore della pelle è associato alla nazionalità. Ciò vuol dire che gli studenti occidentali neri si sentono dire che non è possibile che siano occidentali, proprio perchè neri, mentre gli africani bianchi vengono, diciamo, convinti di non essere africani, ma piuttosto francesi, inglesi o tedeschi. Dall’altra parte, si tratta di vere e proprie situazioni spiacevoli come essere toccati senza aver dato il consenso, vedere le persone spaventate dalla tua presenza o addirittura essere rifiutati dai tassisti. 

A volte si tratta di situazione buffe, come una studente che ha raccontato di essere stato leccato da un bambino, il quale era convinto che fosse cioccolato. Nonostante l’innocenza di alcuni gesti, questi dimostrano la poca conoscenza nei confronti di queste persone e dei paesi da cui provengono. Date le sempre più solide  relazioni tra Cina e Africa e la consistente presenza africana nella RPC, questa scarsa conoscenza dell’ “altro” diventa intollerabile quando sfocia in vere e proprie discriminazioni e in atti di razzismo diretti a un determinato gruppo. Per questo è importante continuare a studiare la situazione, analizzare il razzismo e le dinamiche di questi atti in Cina al fine di delineare al meglio la questione e, con il tempo, risolverla, sia per il bene delle relazioni Cina-Africa, sia per il bene delle comunità africane in Cina.  

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