Nazionalismo popolare dei social media cinesi

Per quel che ne sa… Lucrezia Goldin, di nazionalismo social cinese

In molti parlano dell’importanza di saper sfruttare le piattaforme social al giorno d’oggi, specialmente se si tratta di dover vendere un prodotto o lanciare un’azienda in Cina. Purtroppo in pochi invece analizzano quel che avviene sui social cinesi, e come l’opinione degli utenti possa influire socialmente e cambiare le sorti di un’azienda internazionale. Il caso D&G è uno dei tanti esempi in cui il sentimento nazionalista su piattaforme come Weibo ha contribuito a buttar giù l’immagine di un marchio. Era il 2018 e questo, che ad oggi rappresenta il case study  degli epic fail internazionali in Cina, è stato l’oggetto della ricerca di tesi di Lucrezia Goldin

Sono felice di annunciare che inizio con lei il mio primo appuntamento mensile sulla Cina raccontata attraverso le tesi di laurea.

La tesi di laurea “Chinese Popular Nationalism and Consumer Boycott: a Weibo Discourse Analysis of the 2018 Dolce&Gabbana Controversy” presentata da Lucrezia presso la Leiden University esplora il nazionalismo popolare espresso sui social media in Cina, insieme alla questione dei boicottaggi di alcuni brand internazionali e del caso D&G.

Raccontami un po’ del tuo percorso, come ti sei avvicinata alla Cina?

Sono sempre stata affascinata dalla comunicazione interculturale e dalla possibilità di aprire un confronto attraverso lo studio delle lingue straniere. Per questo ho scelto di frequentare la triennale in mediazione linguistica a Como, all’Università degli Studi dell’Insubria. Ho scelto un percorso che mi portasse a conoscere una lingua ed una cultura che mi erano sconosciute. Mi sono così avvicinata alla Cina.  In quegli anni ho avuto l’occasione di viaggiare diverse volte in Cina per studio tra Hangzhou, Xi’An e Jinan. Ho proseguito il mio percorso con un Master of Arts in Chinese Studies alla Leiden University, sempre alternando lo studio a viaggi in Cina e esperienze lavorative. Nel 2017 sono stata research assistant per il progetto etnografico sul secolo di migrazione cinese a Milano, che poi è diventato una mostra al museo MUDEC di Milano ed ha supportato la creazione della graphic novel di Cjai Rocchi e Matteo de Monte, Chinamen. Un’esperienza di cui vado veramente fiera e che mi ha indirizzato molto nei miei studi, facendomi appassionare sia all’ambito geopolitico che a quello culturale ed etnografico cinese. Tra le altre esperienze che più hanno appassionato, sono stata professoressa di italiano per gli studenti di canto lirico della Shandong University. Ho avuto la fortuna di maturare avventure e professioni diversissime tra loro e di vivere in vari paesi, tra cui l’Australia, la Cina e l’Olanda. Non vedo l’ora di poter tornare a viaggiare. Tutto questo mi ha aiutato ad inquadrare chi sono e che cosa mi piace.  Adesso, tra le altre cose, scrivo per un paio di testate online, tra cui China Files: scrivere di Cina mi aiuta a tenermi questo paese vicino anche se a migliaia di chilometri di distanza.

Perché hai scelto di fare una tesi sul nazionalismo popolare cinese dei social?

Quando ho dovuto scegliere il tema per la mia tesi il caso D&G in Cina era appena esploso. Mi chiesi quali erano state le barriere culturali che avevano portato a tutto quel caos mediatico. Come era potuto succedere? Studiando le ragioni per cui il famoso brand italiano aveva fatto un grandissimo buco nell’acqua in Cina, mi sono interessata a quelle che erano state le reazioni dei utenti su Weibo. Ho quindi indirizzato la mia ricerca non tanto su che cosa aveva sbagliato D&G, ma sulle ragioni alla base di una tale reazione da parte di Weibo e delle pratiche di boicottaggio online. Mi interessava capire se e quanto il mezzo tecnologico avesse influito in questa forma di attivismo social. Quali erano veramente gli elementi considerati offensivi dal pubblico cinese? 

Quanto peso ha socialmente una piattaforma come Weibo?

Bisogna iniziare identificando che cosa è Weibo. È un social media dalle caratteristiche intrinsecamente cinesi, utilizzato in Cina da un pubblico tutto cinese, ma che sempre più si ritrova a commentare fatti ed eventi provenienti da tutto il mondo. Per il caso di D&G, i commenti e le critiche non arrivarono direttamente a Stefano Gabbana o alla compagnia italiana: quello su Weibo era un discorso interno tra utenti cinesi. Per questo ho trovato interessante analizzare Weibo come uno specchio, per quanto parziale, sulla realtà contemporanea cinese.  L’internet cinese ha caratteristiche estetiche e di dialogo uniche e diverse da quelle che vediamo nel resto del mondo. Lo studio delle piattaforme social è importante per la discussione identitaria di un paese, e in Cina tramite i social si denota un forte senso di collettività.  Weibo trasuda un forte senso di identità culturale e gli utenti rispondono alle situazioni che provengono dall’esterno in modo collettivo. Trovo che siano queste le ragioni per cui va tenuto d’occhio per comprendere la società odierna cinese.

Nella tua tesi menzioni che i netizens sono consapevoli del potere economico cinese. Che cosa intendi?

In Cina l’essere “consumatore” è diventato un elemento identitario che fino a vent’ anni fa non esisteva. Questo si intreccia inevitabilmente con la consapevolezza dei cittadini cinesi del nuovo ruolo che la Cina ricopre nel panorama globale, e di quanto la sua forza economica sia sempre più rilevante nella scacchiera mondiale. In altre parole, l’unione della forte identità nazionale cinese incontra il mondo dei consumi, creando le premesse per un vero e proprio nazionalismo dei consumi, con il quale i cittadini esprimono le proprie preferenze di acquisto anche in base all’orgoglio nazionale. Nel caso di D&G, per esempio, la collettività è stata offesa, la madrepatria ferita, e la risposta si è fatta sentire in modo tangibile e ha colpito dove fa più male: nel portafoglio dei venditori di prodotti di lusso. Non è un caso che nella discussione online ci fossero moltissimi commenti quali “Vediamo come farete senza i consumatori cinesi!”. Questo è quello che succede quando il patriottismo incontra il consumismo nell’era digitale. Il pubblico cinese di oggi ha interiorizzato come parte della propria identità l’essere consumatore globale ed è pronto ad utilizzare il suo potere d’acquisto per pretendere rispetto e un’accurata rappresentazione mediatica.

Gli utenti Weibo come hanno incitato molte altre persone a boicottare il famoso marchio italiano?

È` stato principalmente un boicottaggio partecipativo, una sorta di supporto morale con l’hashtag #boycottD&G. Di fatto non tutte le persone che parteciparono al boicottaggio potevano permettersi di comprare una borsa griffata e quindi di sabotare attivamente il marchio. La cosa interessante è proprio che in molti hanno solamente mostrato interesse e sostegno nella conversazione collettiva online, perché partecipare alla conversazione in difesa della nazione è risultato più importante del boicottaggio in sè.

Il boicottare i brand internazionali che in qualche modo offendono l’identità cinese è ormai un trend comune su Weibo e questa forma di attivismo arriva sempre più dopo una discussione online tra utenti.  

È stato così anche per Leica, nel 2017, per Burberry e la NBA nel 2019, e più di recente per l’industria del cinema, con il ban di Monster Hunter dalle sale. Nessuno è esente dal giudizio di Weibo e le conseguenze che passano dal digital all IRL sono sempre più evidenti. Episodi come questi sono sempre più frequenti e passano sempre meno in sordina dal giudizio intransigente degli utenti Weibo. Quando gli utenti cinesi percepiscono la loro identità attaccata o mal rappresentata da un elemento straniero, sia questo un brand o una casa di produzione, possiamo stare sicuri che la voce di Weibo si farà sentire.

Perché molte aziende occidentali continuano a sbagliare secondo te?

Quello a cui stiamo assistendo al giorno d’oggi è uno spostamento di baricentro di un potere che fino a non molto tempo fa è stato quasi esclusivamente nelle mani degli occidentali.  Il problema è che in molti continuano ad approcciarsi alla Cina con parametri occidentali. Tra i commenti su Weibo relativi ai video rilasciati da D&G, così come in casi di offesa simili, sono sempre presenti riferimenti al secolo di umiliazione nazionale, il periodo di sconfitte e aggressioni subite dalla Cina da parte delle forze occidentali (e del Giappone). Non è un caso che l’hashtag più comunemente utilizzato in questi sfoghi online sia sempre #辱华(ruhua, insultare la Cina), dove il carattere utilizzato per esprimere questo concetto significa insulto, ma anche umiliazione. Un’umiliazione che i cinesi  hanno vissuto a partire dalla prima guerra dell’oppio per mano degli occidentali e che oggi, alla luce del successo economico e politico della RPC, non ha spazio per continuare a esistere. Come si può vedere, questa “reazione” ha  radici storiche profonde ed è per questo, secondo me, che continuerà a ripetersi in futuro. La sensibilità del pubblico cinese è legata, almeno in parte, al retaggio di quell’educazione patriottica verificatasi alla fine degli anni ’90 e che ha portato molti studiosi a vedere nei  giovani cinesi un maggiore senso di patriottismo e di rivalsa nei confronti dell’Occidente. Per anni è stato l’Occidente a estraniare la Cina, oggi, sulle piattaforme social, sta accadendo l’inverso, e gli utenti di Weibo rivendicano con orgoglio la netta differenza che percepiscono tra la Cina e le Oumei guojia, ovvero l’Europa e gli Usa. 

A mio avviso è sicuramente arrivato il tempo per l’occidente di fare i conti con i propri bias culturali ed evitare di perpetuare stereotipi offensivi. Ciò nonostante, bisognerà prestare molta attenzione a questo tipo di reazione da parte della comunità virtuale cinese e alle sue conseguenze, per non rischiare di cadere nell’autocensura nel timore di perdere il favore dei consumatori in Cina. Bisogna essere consapevoli di quello che si dice, soprattutto se parliamo di marketing, come in questo caso se il messaggio non arriva è il mittente che non ha fatto i compiti a casa. È inoltre secondo me importante conservare la consapevolezza della moltitudine di comunità con cui abbiamo a che fare ogni giorno e delle sotto trame di prevaricazione e sfruttamento che spesso le caratterizzano, e che diamo per scontate. Soprattutto, sarà sempre più importante riflettere questa consapevolezza nel linguaggio che utilizziamo, specie quando si va a reinterpretare elementi culturali che per alcuni hanno un valore inestimabile.

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