Al telegiornale non si parla più della Cina, una realtà che qua in Italia, seppur fosse distante, ci preoccupava: ad oggi i servizi del tg continuano ad incentrarsi sulla questione coronavirus, ed io ancora una volta mi trovo nel bel mezzo di un’ epidemia. Oggi l’Italia sta vivendo la medesima situazione cinese di Gennaio, cosa che una volta atterrata a Roma il 7 febbraio speravo non dovesse mai accadere.
Pochi giorni fa ho visto una fotografia di Nanjing Road pubblicata su Instagram ed ho pensato fosse di qualche mese fa, quando ancora una delle strade più celebri di Shanghai brulicava di gente a passeggio: mi sono sorpresa nello scoprire che invece si trattava di una foto degli ultimi giorni. Guardando meglio, mi sono resa conto che rappresentava una realtà ancora ben distante dalla Shanghai affollata che mi ricordavo: alcuni passanti camminavano davanti a molti negozi con le saracinesche ancora abbassate, ma è stato bello vedere che piano piano quella vita rinchiusa dentro gli appartamenti sta di nuovo iniziando, con timidezza, ad uscire fuori.
In due mesi la Cina ha rallentato i contagi e sta provando a riaprire il proprio mercato: giusto il tempo di farmi fuggire via da un dormitorio abbandonato e dalla prospettiva di un inizio delle lezioni ancora troppo lontano ed incerto. Due mesi sono stati un tempo record, ma non mi stupisce data la rigidità dei controlli e delle limitazioni, purtroppo vista la situazione odierna qua in Italia dubito che riusciremo a rialzarci con la stessa velocità.
Fare un confronto tra la Cina e l’Italia davanti l’emergenza COVID-19 potrebbe suonare paradossale, ma, vedendo ripetersi il medesimo copione da epidemia recitato da attori diversi, credo che potrebbe invece aiutare a riflettere.
Ripeto, paragonare la Cina all’Italia è impossibile: basti pensare che solo regione dell’Hubei, regione del focolaio blindata, conta circa 58 milioni di abitanti mentre in tutta Italia siamo 60 milioni ed abbiamo problemi a tenere fermi i residenti nella regione Lombardia. Ho in testa l’immagine di metropoli come Shanghai deserte messa a confronto con l’immagine di gruppi di italiani che ancora escono nel weekend e si ammassano in montagna o al mare come se nulla fosse.
La Cina ha da subito adottato misure molto strette per contenere il contagio: ogni angolo della città, ogni complesso di appartamenti ad Hangzhou era sorvegliato da guardie che facevano uscire non più di un membro di ogni famiglia per recarsi al supermercato non più di 3 volte a settimana. Al telegiornale in Italia si parlava solamente della città focolaio di Wuhan, quando queste misure erano state prese quasi ovunque in Cina per far fronte all’emergenza. I controlli e la prevenzione del contagio sono delegati dal governo ad autorità locali fino ai comitati di quartiere creando un sistema di controllo “a griglia” che implica la divisione del territorio cinese in piccole sezioni, assegnate ad al controllo di alcuni cittadini che devono monitorare e riportare le informazioni di ogni quartiere alle autorità. Chiamati “grid workers“, questi cittadini a capo di ogni quartiere hanno avuto un ruolo importantissimo nel controllo alla diffusione del COVID-19 “lavorando come migliaia di fili intrecciati in una rete che salvaguarda 650.000 comunità urbane e rurali attraverso il paese” http://www.xinhuanet.com/english/2020-03/01/c_138832911.htm
I fattorini in sella alle loro motociclette sono diventati dei veri e propri supereroi che vagavano in città deserte per consegnare a domicilio quando medicinali, quando cibo da asporto, quando altri beni di prima necessità: tutto sempre puntuale, tutto secondo le più rigide norme igieniche, anche nelle periferie lontane dal contagio. In Cina ho visto l’efficacia dei controlli nelle stazioni dei treni, la misurazione della temperatura all’ingresso di ogni supermercato aperto o aeroporto: le mascherine erano sold out anche ad Hangzhou all’epoca, ma tutti ne vestivano sempre una per uscire fuori le rare volte in cui era concesso.
In Cina esistono applicazioni che permetto ad ogni individuo di avere mappe ed aggiornamenti dell’epidemia così dettagliati da potere sapere o meno se il vicino di casa è malato. Ad Hanghzou tutti devono avere sul proprio telefonino un QR-code che può essere verde, giallo o rosso, a seconda del proprio stato di salute e della regione di provenienza, una sorta di lasciapassare da mostrare alla autorità.
Ancora oggi gli uffici della mia università mi costringono a compilare quotidianamente dei questionari per certificare lo stato di salute mio e delle persone con cui abito: in Cina ero monitorata, e lo sono ancora oggi. Quando ho vissuto tali ristrettezze a fine Gennaio fantasticavo su come gli italiani avrebbero preso il pensiero di fare una quarantena oppure di come avrebbero reagito all’idea di non poter aver la libertà di spostarsi ed uscire a magiare una pizza con gli amici. Queste mie fantasie adesso sono realtà e purtroppo confermano le idee che mi ero fatta del popolo italiano davanti alla situazione di emergenza di oggi.
La psicosi è sbagliata, ma anche l’indifferenza in questa situazione lo è. Purtroppo quello che vedo oggi in Italia è tanta confusione: scaffali dei supermercati svuotati messi a fianco di immagini goliardiche di chi invece combatte la paura uscendo e non cambiando le sue abitudini. Le abitudini purtroppo vanno cambiate, solo con un po’ di sacrificio da parte di tutti potremmo far sì che il nostro sistema sanitario non vada completamente in crisi.
Vedere i treni presi d’assalto alla stazione di Milano pieni di gente in fuga dalla Lombardia mi ha fatto ricredere nell’efficacia della democrazia: abbiamo la fortuna di avere la libertà di fare delle scelte, ma continuiamo a non usare la testa.
La Cina sarà da criticare per molti aspetti, ma ad oggi i cinesi hanno dimostrato un maggior senso di civiltà e di rispetto altrui. Questa situazione ha messo in ginocchio molte attività e sta mettendo alla prova un sistema sanitario di cui da sempre vado molto fiera: la quarantena non solo serve a salvaguardare se’ stessi, ma soprattutto le fasce più deboli come gli anziani ed i soggetti immunodepressi.
Non spaventa tanto la natura del virus in sé quanto la velocità con la quale si sta diffondendo: secondo l’epidemiologo di Harvard Marc Lipsitch se il virus continua ad avanzare rischieremo di avere tra il 40 ed 70 per cento della popolazione mondiale infettata. https://thehill.com/changing-america/well-being/prevention-cures/482794-officials-say-the-cdc-is-preparing-for
Ormai è da Gennaio che non ho più una vita normale e non ho più delle abitudini: mi sono lamentata anche io tantissimo di questa situazione, mica sono una santa che se ne sta a casa in preghiera, ma le cose stanno così e vanno affrontate proprio per come stanno. In Cina dopo circa 3 settimane di quarantena e di restrizioni la vita sta tornando piano piano alla normalità, anche se pur sempre con estrema cautela visto l’esplodere di una pandemia: se si tratta di rinunciare ad una vacanza, ad una cena o a qualsiasi altro tipo di evento, fatelo.
Ad oggi è così inutile puntare il dito quando contro i politici italiani, quando i cinesi e quando la divina provvidenza: se vogliamo che le cose cambino, dobbiamo essere noi i primi a cambiare.
Questa non è né la fine del mondo, né tantomeno una vacanza: è un periodo che va affrontato con responsabilità, almeno nel rispetto dei medici e degli infermieri italiani che ad ora stanno facendo tutto il possibile per far fronte a questa emergenza.